BULLISMO: un fenomeno sociale che nasce dall'asocialità
Il bullismo è un fenomeno sociale che si sviluppa spesso davanti gli occhi di tutti la classe. I compagni che assistono a tali atti sono definiti spettatori. Chi resta indifferente, senza fermare il bullo e quindi diventando suo complice è definito spettatore passivo, mentre chi interviene per farli terminare sono spettatori attivi. Poi all’interno di una classe si possono verificare diverse dinamiche nel quale prendono parte diversi attori: chi aiuta attivamente il bullo, chi lo sostiene incitandolo e chi difende la vittima.
La cronaca quotidiana
ci mette di fronte spesso a diversi fatti di bullismo che si sviluppano dentro
e fuori la scuola le cui conseguenze a volte sono stati devastanti come nel
caso del suicidio della quattordicenne padovana a causa degli insulti mossi su
un famoso social network. E, per non andare tanto lontani, il tentato suicidio
di una giovane di Reggio Calabria a causa di un suo video intimo rubato dal proprio
cellulare e fatto girare fra coetanei.
La violenza fisica e
psicologica è sempre esistita, ma oggi è in notevole aumento e si sposta anche
in altre realtà che non sono solo i banchi e i cortili della scuola, luogo per
eccellenza, ma anche la rete e tramite i cellulari. In realtà non si capisce se
il fenomeno è cresciuto solo perché le vittime hanno denunciato di più rispetto
il passato.
Il termine bullismo
deriva dall’inglese “bullying” il
quale designa la relazione tra il comportamento del prevaricatore e quello
della vittima (Fonzi, 1999) ed è stato teorizzato in maniera sistematica nel
1978 da Dan Olweus. Il bullo, secondo l’autore, in genere è un soggetto di
sesso maschile che, attraverso attacchi sistematici, infastidisce e opprime un
coetaneo attraverso violenze fisiche e/o psicologiche.
Gli attacchi possono essere diretti
di tipo verbale (minacce, insulti ect) e di tipo fisico (picchiare, spintonare, derubare, danneggiare, ect) o indiretti e
più subdoli come l’isolamento sociale e l’esclusione dal gruppo-classe tramite
i pettegolezzi, l’ignoramento e la diffusione di storie imbarazzanti spesso
inventate. Quest’ultimo modo è tipico delle donne, mentre gli attacchi diretti
sono prediletti dagli uomini. Inoltre, all’interno degli attacchi indiretti
possiamo distinguere l’aggressività
sociale (Cairns et al., 1989, 1994) nel quale non c’è confronto tra i
partecipanti (es. si parla alle spalle della vittima, si rivelano segreti ad
altri) come nel cyberbullismo e il bullo resta sconosciuto, dall’aggressività indiretta (Lagerspeytz et
al., 1988; Garandeau e Cillesse, 2006) nel quale l’ignoramento e l’esclusione o
il pettegolezzo avviene davanti la vittima, dall’aggressività relazionale (Crick e Grotpeter, 1995), nel quale lo
scopo principale è quello di minare i rapporti di amicizia tra coetanei.
Il
cyberbullismo
In questo caso la
violenza non è perpetrata fisicamente ma tramite sms, mms, messaggi in chat in
cui si insulta la vittima scrivendole cose spiacevoli o inviandole fotografie o
video che la ritraggono in momenti imbarazzanti oppure, ancora, si pubblica sui
social network foto, video o messaggi diffamatori per danneggiarla. Il bullismo
on line può raggiungere un vasto pubblico con un click inoltre, può garantire
l’anonimato al bullo, almeno per un certo periodo di tempo, ed è più difficile
da reperire. In questo caso, non esistono più limiti spazio temporali come a
scuola, ma le prevaricazioni possono essere perpetrate in qualsiasi momento. In
genere sono le ragazze le vittime più frequenti rispetto i ragazzi.
Le caratteristiche fondamentali del
bullismo, che lo differiscono da un normale litigio, sono:
·
l’asimmetria della relazione, infatti il
bullo sceglie la sua vittima di solito perché più debole sia fisicamente che
psicologicamente;
·
l’intenzionalità dei comportamenti
prevaricatori con lo scopo di offendere e danneggiare la vittima;
·
la frequenza costante e per un periodo
di tempo prolungato di tali atti, quindi si tratta di comportamenti premeditati
(aggressività proattiva), e non di una
reazione in seguito ad una situazione che suscita rabbia (aggressività reattiva).
Le
caratteristiche del bullo
Si tratta in genere di
persone con forti sentimenti di rabbia che non riescono a provare empatia e
quindi a mettersi nei panni degli altri e comprendere e condividere le emozioni
altrui proprio perché non riescono a riconoscere e gestire i sentimenti che
provano, ma hanno un adeguata teoria della mente, per cui si rendono conto di
quali conseguenze scaturiscono dai loro comportamenti e il loro scopo è proprio
quello di danneggiare gli altri. Spesso si tratta di ragazzi con un
temperamento attivo, la classica “testa calda”, che hanno anche una forte
autostima, ma che al tempo stesso non riescono a soddisfare il loro bisogno di
affermazione. A volte il bullo è leader
per cui mette in atto in prima persona i comportamenti provocatori e ostili,
altre volte è passivo e sostiene più
o meno direttamente i comportamenti del leader. In ogni caso, l’aggressività è
ritenuta come l’unica modalità da attuare per il raggiungimento del proprio
scopo e in età adulta può sfociare in condotte antisociali perseguibili a
livello penale.
Le
caratteristiche della vittima
Persone particolarmente ansiose, insicure, introverse, con bassa autostima e la tendenza a dipendere dagli altri tendono ad essere designate come le vittime. Le ricerche descrivono le vittime come, in genere, ragazzi più emarginati a scuola e con pochi amici (Hodge et al., 1995; Kochenderfer-Ladd, 2004). Anche in questo caso possiamo distinguere due tipi di vittime: il tipo passivo e quello provocatorio. Nel primo caso si subiscono le minacce e le prevaricazioni senza opporsi, mentre nel secondo, la vittima provoca le prepotenze subite. La cosa che fa riflettere è che riferiscono di non avere fiducia nelle insegnanti e nella loro capacità di fermare i compagni bulli e per questo non si trovano bene a scuola e spesso non denunciano (Smith e Shu, 2000). La condizione di vittimizzazione può sfociare in gravi disagi psicologici e sociali e disturbi d’ansia e depressione fino al suicidio.
Punti
in comune
Sia bulli che vittime
hanno uno scarso rendimento scolastico, difficoltà nelle relazioni con i
coetanei e tendono all’isolamento, provando avversione per la scuola. Inoltre,
entrambi hanno una scarsa regolazione emotiva, in quanto i bulli non vedono
comportamenti alternativi se non reagire con l’aggressività per ottenere ciò
che vogliono, e le vittime tendono ad interiorizzare troppo le emozioni come
paura, rabbia e imbarazzo, senza farle emergere e questo iper-controllo
comporta delle strategie di coping,
cioè di reazione e fronteggiamento delle situazioni che sono disadattive come
la fuga e la sottomissione, invece di chiedere aiuto alla famiglia e agli
insegnanti.
Gli
altri spettatori
Il bullismo è un
fenomeno sociale che si sviluppa spesso davanti gli occhi di tutti la classe. I
compagni che assistono a tali atti sono definiti spettatori. Chi resta indifferente, senza fermare il bullo e quindi
diventando suo complice è definito spettatore passivo, mentre chi interviene per farli terminare sono spettatori attivi. Poi all’interno di una classe
si possono verificare diverse dinamiche nel quale prendono parte diversi
attori: chi aiuta attivamente il bullo, chi lo sostiene incitandolo e chi
difende la vittima.
Il
ruolo della famiglia e della scuola
Non è facile scoprire se vi siano degli
episodi di bullismo sia per gli insegnanti che per i genitori, perché i figli
tendono sempre ad occultare tali vicende.
La famiglia ha un ruolo fondamentale,
perché la violenza genera violenza attraverso il semplice apprendimento per
imitazione (Bandura, 1973) di comportamenti aggressivi verbali e fisici. Per
cui, un contesto familiare caratterizzato da poco affetto e scarsa
comunicazione unito al temperamento attivo del bambino, ad una società i cui
videogame, cartoni animati e film sono spesso basati sulle violenze e ad una
classe in cui si tende ad etichettare certi comportamenti e ad isolare invece
di includere possono costituire il terreno fertile per lo sviluppo di
comportamenti da bullo.
È fondamentale, soprattutto per gli insegnanti, attenzionare i ragazzi con maggiore disagio, più isolati e impopolari, non stigmatizzare i comportamenti
“sbagliati” (teoria dello stigma di Goffman, 1970) e aumentare i lavori di classe, per cui puntare più alla collaborazione tra i compagni piuttosto che alla competizione, attraverso metodologie come il cooperative learning.
Gli
interventi
È fondamentale la prevenzione attraverso progetti a
scuola fatti da noi psicologi che informino e sensibilizzino su tali argomenti,
sottolineando l’importanza della denuncia.
Inoltre, perché gli attori sono numerosi è il caso che
gli interventi si sviluppino su più
piani, sia a livello familiare, che scolastico, oltre che individuale. A
livello individuale è importante lavorare sia con bulli che con vittime intanto
sull’ascolto e sul dialogo, sull’accettazione e il riconoscimento della
persona, spogliando dallo status e dall’etichetta della scuola. Serve anche
intervenire sulla sfera delle competenze emotive, che dicevamo essere
deficitaria, sulle capacità di problem
solving, facendo vagliare le possibili alternative comportamentali alle
situazioni stressanti che si sperimentano quotidianamente, sulle capacità di
risoluzione dei conflitti e sulle competenze comunicative, promuovendo
l’assertività nella comunicazione e non l’aggressività o la passività,
divenendo così abili a livello sociale, che è alla base delle relazioni interpersonali
positive e gratificanti.
Inoltre, con la vittima
bisogna lavorare sull’autostima e lo scarso senso di sé che tendono ad avere
facendoli sentire accettati e riconosciuti. Sentimenti che debbano sperimentare
anche a scuola e tra il gruppo dei pari.
Dott.ssa Moira Casella
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